Racconta

  • Un barone per amico, il cane di Carlo Levi

    22/04/2017

    di Giuseppe Colangelo

    Nella folta galleria di luoghi e personaggi lucani tratteggiati su carta e tela da Carlo Levi spicca un quattro zampe dai più del tutto dimenticato. Si tratta di Barone, il cane randagio con il quale l’artista e scrittore stringe una forte amicizia proprio durante il confino nella nostra regione.

    Il primo vero amico di Carlo Levi (Torino 1902 Roma 1975) in Basilicata è Barone, un barboncino bianco abbandonato dal quale  l’artista  torinese non si separerà mai. Tutto ha inizio nel lontano 1935, quando il medico, artista e scrittore piemontese è obbligato al confino in questa regione dal regime fascista. «… Sono arrivato a Galliano (Aliano in provincia di Matera) un pomeriggio di agosto» scrive Levi nel suo celebre Cristo si è fermato a Eboli pubblicato in Italia da Einaudi, «portato in una   piccola   automobile sgangherata…  Ci venivo malvolentieri, preparato a vedere tutto brutto, perché avevo dovuto lasciare, per un ordine improvviso, Grassano, dove abitavo   prima, e   dove avevo imparato a conoscere la Lucania… In paese, non ci sono veri negozi, né albergo. Ero stato indirizzato dal segretario in attesa di trovare una casa, ad una sua cognata vedova… Così, prima di dare un’occhiata più approfondita alla mia nuova residenza, entrai dalla vedova, per una delle porte a lutto, con le mie valige ed il mio cane Barone.». Un simpatico quattro zampe, quest’ultimo, che con il trotterellare giocoso conforta Levi durante il lungo periodo di isolamento politico e sociale e che sarà immortalato dall’uomo non solo nel romanzo ma anche in molte delle sue opere pittoriche. Ora, a ottant’anni   anni dal confino in Basilicata, a settant’anni dall’uscita dell’indimenticato   capolavoro letterario e a quarant’anni dalla morte, si celebra in Basilicata e nel resto d’Italia la figura di Carlo Levi.  Una personalità che ha saputo trarre grande ispirazione da quello che si presentava come   uno   dei   periodi più bui della sua esistenza. Trapiantato suo malgrado dalla natia Torino nella lontana Lucania, egli  elabora l’impatto con un mondo diverso, un mondo arcaico, quasi primordiale, trasformandolo in una esperienza di pittura e scrittura poetica.  Quell’esperienza che avrebbe alimentato le sue opere successive. 

    Nasce così un’immagine della regione che va oltre i confini del reale e del tempo. Una terra simbolica, insomma, per   denunciare la condizione di una umanità vessata e impotente che non riesce a entrare nella storia.  E in questo mondo  contadino fatto di vertiginosi calanchi argillosi e di volti scavati dalla fatica, di superstizione e di ritualità, trova una sua dimensione quasi umana anche Barone, retratto delicatamente tra le pagine del romanzo e nei tanti bozzetti e dipinti che l’artista realizza in quegli anni per lui così fecondi. Sodalizio che non sfugge al cinema su cui si sofferma il compianto Francesco Rosi il quale, nell’adattamento omonimo del “Cristo” realizzato per il grande   schermo   nel 1978, sottolinea lo speciale rapporto tra il cane e il medico torinese. Fin dai primi fotogrammi del lungometraggio, infatti, lo spettatore assiste al commovente incontro tra l’esiliato, ormai sul punto di inoltrarsi in una terra desolata e sconosciuta, e lo scodinzolante e simpatico randagio destinato a diventare il suo inseparabile amico.

    Un   solco   tanto   profondo, quello tracciato dall’opera  dell’indimenticato artista, che ad Aliano e nell’intero territorio ha dato vita negli anni a una rinnovata  consapevolezza nei propri mezzi e a una voglia di riscatto, i cui frutti più evidenti sono la nascita nel 1998 del “Parco Letterario Carlo Levi” promotore nel paesino del confino di una miriade di attività culturali in grado di attrarre l’attenzione dei media e di un pubblico non solo nazionale. Fra gli eventi più significativi il “Premio Letterario Nazionale Carlo Levi”, ormai prossimo alla XIX edizione, e la suggestiva Festa della Paesologia “La   Luna e i Calanchi”. A Matera, Capitale  Europea per la cultura 2019, lo spazio di Arte Contemporanea di Palazzo Lanfranchi invece ospita circa 700 dipinti di Carlo Levi. Una sorta di lungo film che documenta minuziosamente una  straordinaria esperienza umana e artistica unica e irripetibile. Frutto di un mondo tanto amato da Levi al punto che prima di morire esprime il desiderio di essere sepolto ad Aliano.

    Tratto da La Voce dei Calanchi n.125